Ferrovieri e resistenza: un forte contributo alla democrazia

Come ogni anno tra il 24 e il 25 aprile si depongono corone di alloro sulle lapidi nelle stazioni del Veneto per la ricordare le imprese coraggiose e generose dei ferrovieri che hanno contribuito a riportare la democrazia e la libertà nel nostro paese, fino a pagare con la loro vita, lottando per gli ideali e per i valori che non potevano vedere calpestati. A Treviso li ha ricordati Nicoletta Baratta della segreteria Filt Cgil trevigiana insieme ad un gruppo di ferrovieri riunitisi di fronte al monumento dedicato a quei colleghi che, in Italia e in Europa alla fine della seconda guerra mondiale, si sono distinti per la loro attività di salvataggio, di sabotaggio, ma anche di solidarietà messe a servizio della liberazione dal nazifascismo.
“Sono felice che il DLF ci permetta di continuare questa fondamentale e sana operazione di ricordo. Il ricordo – ha affermato N. Baratta – di un momento fondamentale per la nostra democrazia. Il ritorno alla legalità di un paese che era caduto nel pozzo oscuro del totalitarismo, delle leggi speciali, delle persecuzioni, delle violenze. Qualcuno da un po’di tempo vuole ridimensionare la memoria di chi con coraggio ci ha regalato un Paese libero. Mi auguro che questi momenti non si perdano. Perché è solo attraverso il ricordo e lo studio del passato che non incorreremo ancora negli orrori della nostra storia, ancora così recente”.
“Ogni anno la commemorazione che si svolge qui in stazione – la Filt di Treviso – ha un significato profondo non solo per i ferrovieri, ma per tutti gli iscritti alla nostra categoria dei trasporti nel ricordare l’apporto dei lavoratori alla battaglia di liberazione”.
Durante gli anni del fascismo l’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato era stata sottoposta ad una spietata ristrutturazione che aveva determinato, a partire dalla seconda metà degli anni ’20, il licenziamento di oltre 40 mila ferrovieri antifascisti.
Il fascismo impose ai ferrovieri una serie di norme tecniche, organizzative e disciplinari rigorosissime, l’azzeramento delle organizzazioni sindacali e della stampa di categoria e l’obbligo di iscrizione all’Associazione Nazionale Ferrovieri Fascisti. Inoltre il Reparto ferroviario della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale aveva poteri di polizia giudiziaria, di controllo politico sul comportamento dei ferrovieri e di vigilanza sulla regolarità del servizio.
Nonostante questo quadro repressivo i ferrovieri ebbero comunque il coraggio di fornire notizie dettagliate sugli impianti delle stazioni d’interesse militare e dei lavori lungo la ferrovia, ma anche di compiere azioni di sabotaggio degli scambi, delle linee aeree, il ritardo sistematico nelle attività di manutenzione dei materiali rotabili e soprattutto, in diverse occasioni, l’apertura dei portelloni dei treni di deportati verso la Germania per far scappare i prigionieri. E quando non erano in grado di farlo in molti carri riuscirono a introdurre di nascosto, prima che i carri fossero sigillati, cibi e bevande per confortare i rinchiusi. Dai prigionieri ricevevano biglietti, brevi messaggi che facevano pervenire alle famiglie.
Molti furono i ferrovieri arrestati dai tedeschi per queste azioni di sabotaggio i cui nomi sono incisi sui pilastri delle nostre stazioni, come quella di Venezia S.L. che ricorda Piero Favretti e l’ingegnere Bartolomeo Meloni, Ispettore Capo delle Ferrovie a Venezia. Le azioni dei gruppi dei ferrovieri che lui aveva contribuito a formare non si fermarono con il suo arresto, furono portate avanti fino alla Liberazione da Lindoro Rizzi e da Vittorio Menegazzi e dagli altri compagni di lavoro ferrovieri che avevano seguito l’esempio di B. Meloni.
Ma quanti nomi sarebbero ancora da citare solo in Veneto?
Il pieno riconoscimento dell’azione dei ferrovieri italiani non è ancora avvenuto, nonostante già nel ’45 non mancassero impegni assunti in tal senso dal primo direttore delle ferrovie italiane Giovanni Di Raimondo, mentre è accaduto in altri paesi europei, come nel caso dei ferrovieri francesi da parte della direzione di Sncf.
C’è un albo dei caduti nel primo conflitto mondiale, ma non è mai stato elaborato un albo dei ferrovieri caduti nella Resistenza. Manca ancora una visione integrata e una ricerca storica capace di puntualizzare sia la dimensione organizzata che spontanea della loro significativa attività e della loro preziosa mobilitazione.
Ci auguriamo che dopo 72 anni non si sia troppo tardi per ricostruire le tante singole storie che rischiano di essere dimenticate e che invece questa categoria di lavoratori deve essere orgogliosa di ricordare.
Sulla festa della Liberazione leggi anche l’articolo di Rassegna Sindacale:
25 aprile: 72 anni fa il grande risveglio dell’Italia di Ilaria Romeo del 24 aprile 2017